A volte c’è del cibo nel piatto, ma a nessuno va di mangiarlo. A nessuno va di mangiarlo, ma quando tutti sono affamati, il cibo scompare in un soffio. Scompare in un soffio e c’è della musica – qualcuno suona il piano in salotto, dove lo stomaco di ogni commensale brontola come se chiacchierasse senza parole, rimpiangendo il cibo scomparso in un soffio. Rimpiangendo il cibo scomparso in un soffio, fissiamo dalla finestra la pioggia picchiettare sulla rosa di Sharon, mentre i petali cadono sull’asfalto. Mentre i petali cadono sull’asfalto, la pioggia si fa sempre più intensa, il piano si ferma, e io ricordo di quando ero bambina e mi domandavo perché mia madre non mangiasse mai a tavola, ma sempre da sola, quando tutti gli altri avevano finito, e mangiava solo se era rimasto del cibo nei piatti, anche se spesso non ce n’era. Anche se spesso non ce n’era, l’abile artificio di mia madre m’impediva di capire che lei non mangiava perché quando ero piccola il cibo era scarso. Quando ero piccola il cibo era scarso, ma al mattino i miei sogni non lo erano, quando mi svegliavo e mi ricordavo della pasticceria dai nitidi colori pastello e di tutte le torte meravigliose che avevo assaporato nel sonno; torte sfavillanti in bella mostra dietro la vetrina come preziose sculture coperte di diamanti, diverse da qualsiasi torta avessi mai visto prima. Diverse da qualsiasi torta avessi mai visto prima, queste torte dei sogni mi saziavano mentre dormivo, e non mi rendevo conto di avere fame perché erano così deliziose da non farmi pensare al mio appetito. Erano così deliziose, anche se non erano reali e rendevano il cibo vero indesiderabile, perché il pasticciere dei sogni nella mente di una bambina poteva preparare pietanze inconsce per soddisfare l’appetito più nascosto. L’appetito più nascosto aspettava come un amico insieme al pasticciere e alle torte dei sogni mentre mia madre entrava in pasticceria come se fosse normale che io me ne stessi lì, nuda, mentre mi abbuffavo di torte. Nuda, mentre mi abbuffavo di torte, non mi ero mai sentita così felice, fino a quando mia madre non mi domandò perché non gliene avessi lasciato nemmeno una fetta.
Un ringraziamento speciale alla rivista letteraria «The Adroit Journal» per averci concesso di tradurre e pubblicare questo racconto.