Sotto il vento sferzante, Mario bestemmiava a ogni graffio di gelo, col fuoco nei bicipiti, la schiena a pezzi e una vertigine in gola. La vetta, dio bono, distava ancora un’infinità di metri, ma ora che era arrivato lì non poteva più tirarsi indietro… Le Apuane, gli aveva detto qualcuno, erano vette difficili da affrontare, ma Mario, che era un bulldozer, uno che non si fermava mai davanti a niente, aveva deciso di fregarsene di tutti i possibili pericoli e affrontare l’arrampicata da vero uomo.
Aggrappato a un masso umido, in equilibrio precario, cercò di capire come diavolo piantare il chiodo a cui agganciare la corda fresca di emporio. Su suggerimento del venditore, al quale doveva essere sembrato un formidabile imbecille, aveva comprato settanta metri di fune doppia. Il resto (scarponi, imbragatura, caschetto, moschettoni, freni, chiodi da roccia) lo aveva trovato da Decathlon. Tutta roba in offerta, ma di qualità.
Il vento ghiacciato continuava a offendere con i suoi lunghi ululati le gole del costone roccioso. Mario riuscì dopo un paio di tentativi a piazzare il chiodo e ad avanzare di mezzo metro. Si sollevò oltre la base superiore del roccione più grosso, guardò in basso e cominciò a cagarsi sotto.
Non era mai stato uno sportivo e la montagna in sé gli faceva anche un po’ schifo: era più uno da mare, lui… Uno che stava bene stravaccato sulla sdraio di un lido attrezzato a fare la Settimana Enigmistica. Ma, dio bono, ora stava sul serio scalando il monte Sella e tra poco, se tutto andava come doveva andare, avrebbe raggiunto il Picco del Diavolo. Roba da non credere. E dire che l’altezza gli aveva sempre fatto una certa impressione: da bambino non riusciva neppure ad affacciarsi dal balcone della nonna al quarto piano. Ma ora, si capisce, si trattava di un’occasione speciale: una sfida, una prova di carattere.
Gianna, la sua compagna, sarebbe rimasta a bocca aperta. Era una donna splendida da tutti i punti di vista e sensibile a certe manifestazioni di virilità. Bel culo, elegante, con un cervello da scienziata. Si erano conosciuti da piccoli a scuola ed era stata subito intesa perfetta. Lei gli faceva copiare i compiti di matematica e lui le regalava i salamini per la merenda, e da allora non si erano mai più lasciati. Condividevano passioni, interessi e tutto quanto. Per esempio, ogni domenica lei rinunciava a uscire con le amiche per seguirlo in curva a vedere la Fiorentina. E passava sempre volentieri le feste a casa dei genitori di Mario, a giocare a scala quaranta fino a tarda sera e a cucinare insieme alla suocera per gli uomini.
Dopo qualche minuto di arrampicata, Mario aveva cominciato a prendere confidenza con la parete. Era tutta una questione di spostamenti minuti, di pressione calcolata sulle cosce e gestione fluida del moschettone. Era quasi giunto a metà scalata, così provò ad accelerare. Ma qualcosa andò storto: il piede destro si scollò dalla roccia e una spinta infame del vento gli fece volare le gambe e mezzo busto lontano dal costone. Il povero Mario sventolava come una bandiera, appeso con una sola mano al chiodo che aveva poco prima infilato in un macigno dalla consistenza troppo friabile.
Senza cedere allo sconforto, agguantò con la mano libera una pietra in rilievo che sporgeva mezzo metro a destra e si tirò su. Fu una faticaccia, ma in qualche modo riuscì a cavarsela. Una volta al sicuro, ripensando a quanto gli era appena successo, Mario immaginò che a salvarlo potesse essere stato il santo protettore degli scalatori deficienti, perché a un certo punto gli era proprio parso di sentire la spinta di una mano invisibile venuta a salvarlo da morte certa e orribile.
Il vento non la smetteva di dargli addosso, ma il Picco del Diavolo era sempre più vicino. Ce la doveva fare, a tutti i costi. Lo doveva a se stesso. E lo doveva a Gianna, per dimostrarle di essere meglio di quegli attori che si vedono al cinema. Dio bono, con una fidanzata così bisognava sempre dimostrare qualcosa… A molti pareva impossibile che una come lei, così bella, così intelligente, così preparata, si fosse legata a uno come lui. In verità, c’erano delle mattine in cui, svegliandosi al suo fianco, anche Mario si sentiva invadere da un sottile senso di inadeguatezza. In effetti, a vederli da fuori, qualcosa non quadrava. Bello, lui, non lo era mai stato. Ricco, nemmeno. Intelligente sì, ma fino a un certo punto. Mario non aveva finito neppure le scuole superiori: a diciotto anni era stato già bocciato tre volte, e allora se n’era andato a lavorare nel negozio di famiglia, una botteguccia di discreto incasso, specializzata in carne equina. Lei, invece, quello stesso anno aveva passato il test per entrare a Medicina. Dopo la laurea e la specializzazione, era entrata all’ospedale San Luca e nel giro di pochi anni era diventata uno dei più apprezzati chirurghi della provincia. Strano, no? Un chirurgo e un macellaio… Ma l’amore è così. E nonostante i litigi, le incomprensioni cretine e le piccole gelosie, la loro era una bella storia. Sì, ogni tanto Mario alzava un po’ troppo la voce, si impuntava. Com’era successo l’altro giorno, quando lei gli aveva detto di voler passare le vacanze di Natale sulla neve. Rinunciare a un weekend a Foiano della Chiana per andare al freddo, in montagna? Per Mario era inconcepibile. A Foiano c’erano tutti i suoi amici e i suoi cugini. E poi c’era la zia Marta, che era sul punto di rendere l’anima al Signore, e bisognava blandirla con un pochino di smancerie prima che fosse troppo tardi, per sperare di guadagnarci qualcosa con l’eredità.
Alla fine, come sempre, era riuscito a farla ragionare e a portarsela a Foiano, a casa di zia Marta. Così avevano risparmiato anche un bel po’. E già che c’era, l’aveva anche convinta a togliere il saluto a quel dottore stronzo, quel suo collega che ogni tanto incrociavano per strada e, dio bono, faceva sempre lo splendido.
Ora quello che all’inizio sembrava un obiettivo irraggiungibile, un punto lontanissimo all’orizzonte, era praticamente a pochi metri dal naso congelato di Mario. Per scollinare le ultime rocce dovette comunque soffrire un bel po’. Non trovava una parete adatta in cui piantare supporti per la corda e non poteva neanche contare su appigli per i piedi, dato che non riusciva a piegarsi e a martellare più in basso. A quale altezza era arrivato? 1700 metri almeno… Valutò a lungo la situazione, poi fece l’unica cosa che poteva fare, allungò la gamba destra cercando di buttarla oltre il contorno superiore di un masso, contemporaneamente spinse con la punta del piede sinistro sui chiodi piantati. Con la mano libera (l’altra era saldamente impegnata con il moschettone) cominciò a esplorare alla cieca oltre il bordo superiore.
Trovò un appiglio metallico che sperava essere tanto forte e saldo da reggere il suo sovrappeso. Se era lì, quel dannato coso doveva pur servire! Gianna gli aveva chiesto cento volte di mettersi a dieta e di andare un po’ in palestra, ma lui le aveva riso in faccia: in casa sua gli uomini erano sempre stati grossi, era una questione ereditaria e di necessaria apparenza, giacché chi va dal macellaio si aspetta di trovare un uomo di una certa stazza, ben pasciuto dalla carne che abbatte e commercia.
C’era quasi… Il cuore gli batteva a mille, come la prima volta che aveva fatto l’amore con Gianna, quando l’aveva montata con tanta furia da svegliare il vicinato.
Un altro metro. Mario si raccomandò a un paio di santi e fece tre movimenti insieme: pigiò sulla punta del piede destro, tirò con la mano e piantò il tallone sinistro al di là del bordo. Ce l’aveva fatta.
In quel momento era forse l’uomo più felice del mondo. Si spogliò dell’ingombrante zaino e della scomodissima imbracatura. Buttò a terra la corda e il resto dell’attrezzatura. Il vento era sempre più bastardo, sembrava stizzito per il suo successo: cercava in tutti i modi di scaraventarlo giù. Ma Mario era ormai incontenibile, nessuno avrebbe potuto più fermarlo, si sentiva forte come un bufalo.
Con un certo sforzo, tirò fuori dalla tasca del giaccone la mappa dei sentieri. Ora i suoi pensieri erano unicamente rivolti al Picco del Diavolo. Si incamminò verso destra, dietro una rupe, ammirando il vasto cielo attraversato da nuvole bianchissime e lievi. Non era facile orientarsi. Il panorama era completamente diverso da quello che si aspettava, innevato ma macchiato da pietroni affioranti coperti di muschio.
Dopo un leggero scollinamento e una sosta per riprendere fiato, lo vide: il picco si stagliava contro le nuvole, come uno squarcio di marmo infilato tra due grandi massi. Pareva un trono sormontato da un sovrano di calcare. La testa del re era appuntita, piegata leggermente a destra, come a spiare l’infinito e terribile strapiombo. Era proprio lì che Mario doveva andare. Pareva incredibile, ma ce l’aveva fatta. Alla faccia di Gianna che lo accusava sempre di essere un pantofolaio e di non essere per nulla uno spirito avventuroso.
Eccolo, il Picco del Diavolo: dal vivo si capiva subito il perché di quel nome. Tutte le immagini che Mario aveva visto non rendevano giustizia allo spettacolo che ora si trovava di fronte. Il vento rumoreggiava spaventoso tra le rocce e il re di pietra osservava il vuoto con perfida indifferenza. Tutt’intorno aleggiava un’atmosfera malvagia. E allora Mario capì: quello era il sovrano del male, il principe delle tenebre, il nemico che non muore mai. Mario era sempre stato un tipo spirituale, convinto che il mondo fosse pieno di entità benigne e malefiche che un bravo cristiano doveva imparare a rispettare. Gianna, invece, per tanti anni si era detta agnostica. Poi, certo, lui l’aveva costretta a seguirlo in comunità e in pellegrinaggio a Lourdes, e bene o male la sua donna aveva cambiato idea…
Tra Mario e il picco c’era soltanto un crepaccio. Senza pensare e senza paura, saltò immediatamente dall’altra parte, con le braccia alzate. E in quel momento si sentì come Sylvester Stallone nel film Cliffhanger. Non c’era nessuno al mondo più forte e potente di lui.
– Sono proprio una bestia – disse ad alta voce, gonfiando il petto. – Anzi, sono un dio onnipotente!
Si trovava in un posto pazzesco e c’era arrivato da solo, faticando e affrontando paure antiche che mai avrebbe creduto di riuscire a superare. Ora vedeva tutto da un’altra prospettiva. Guardò di fronte a sé fin dove gli occhi riuscivano ad arrivare, poi si girò di lato: imperava l’abisso. Si portò fin sul bordo del masso e si fece il segno della croce. Tra un secondo, Mario si sarebbe lanciato nel vuoto. Gianna tre giorni prima lo aveva lasciato su WhatsApp. Gli aveva scritto che non lo sopportava più. Lui aveva scoperto che da più di un mese si vedeva con un carrozziere di Poggibonsi. Un certo Nando, che presto l’avrebbe portata in montagna, sul monte Stella, per un’escursione romantica.
Quella notizia gli aveva spezzato il cuore. Non se lo sarebbe mai aspettato: da lui Gianna aveva avuto tutto, e avrebbe potuto avere ancora di più. Dio bono, dove lo avrebbe trovato un altro che l’amava e rispettava quanto l’amava e rispettava lui?
In ogni caso, era meglio farla finita così, fingendo di essere caduto o di aver avuto un incidente… Ci poteva stare: uno scalatore inesperto che non vede il precipizio. Meglio non pensarci più. Che ci voleva? Mario era un bulldozer e non aveva paura di niente. A occhi aperti, si tuffò.