Il signor Pietro, conosciuto nel rione come Pietrino, aveva avuto nella sua lunga e appassionata esistenza due sole grandi passioni: le femmine e la Vita Bella, ovvero il suo intrepido peschereccio di manifattura antica. Giunto ormai alla soglia degli ottanta, si era visto costretto ad ormeggiare l’imbarcazione in via definitiva, ma incapace di restare sordo agli incendi nella pancia non s’era ancora deciso a lasciare andare la sua antica amante, la signora Marino.
Le origini della Vita Bella si disperdevano in una foschia di tempi remoti e incerti, anni in cui tutto era diverso e, a detta del signor Pietro, tutto più bello. S’era fatto uomo sottocoperta, avvinghiato a una ancora tredicenne signora Marino, con gli occhi strabuzzati dal piacere fissi sull’oblò, e stretto a lei aveva giurato che non si sarebbe fatto ammazzare mai, né dal mare, né dal vento, né dalla pioggia. L’amore lo aveva reso indomito e a bordo della Vita Bella gli era parso d’essere un eroe: i baffi alla Clark Gable, le pose alla John Wayne e il ghigno briccone di Kirk Douglas, gli avevano dato la baldanza necessaria ai trionfi. Aveva compiuto le sue gesta all’ombra del Vesuvio; gettava le reti in mare, col fare esperto di chi se la sa cavare e con le sue sole braccia gonfie di muscoli le tirava su strapiene di acciughe, merluzzi e sgombri, che poi friggeva in onore alla donna amata.
Carmela, prima ancora d’essere la signora Marino, parecchi mesi addietro a quel suo matrimonio vantaggioso con Don Felice, s’era attaccata a Pietro con la fede d’una monaca e una notte di luna, distesi sulla banchina nelle cui pozze d’acqua si riflettevano le stelle, gli aveva promesso di restare sua per sempre. Se solo si fosse mantenuto così bello e forte e aitante, lei non si sarebbe mai sottratta ai suoi baci ardenti.
Il signor Pietro, pazzo d’amore e grato al cielo per le sue pesche fortunate, non s’era fatto abbattere dal tradimento attuato dall’ambiziosa sua Carmela, che s’era messa accanto un marito coi danari, e pure dopo essersi preso per moglie una ragazza sciancata e triste, e aver messo al mondo una dozzina di figli scalmanati, ed essere passato per le nubi scure dei lutti, degli amori adulterini finiti in tragedia e della vedovanza, pure dopo tutta una vita, non si rassegnava a pronunciare quell’addio che gli obbligavano a dire i figli e i vecchi di buon senso nel rione: “Lasciala, Pietrì, l’età è l’età, e la nostra s’è consumata”. Ma lui era stato un eroe, s’era preso l’amore in mezzo al mare e se l’era tenuto, a dispetto delle convenzioni e del tempo che consuma.
– Perdonami, Melì, io non lo so cos’è che sta passando – disse un pomeriggio d’inverno, seduto sul suo letto a guardarsi fra le cosce. Carmela, grassa e con la pelle ormai squamosa, distesa al suo fianco, gli disse che era normale, che a quell’età certe sorprese uno doveva aspettarsele, che non ne facesse un dramma. Poi si rizzò a sedere appoggiandosi alla spalliera del letto e fissando uno specchietto, prese a passarsi lenta un rossetto sulle labbra disseccate. Ma Pietro non poteva capacitarsi di quel suo ennesimo tracollo, era capitato molte volte, negli ultimi mesi, che il vigore fra le cosce si rivelasse fiacco e gli impedisse di approdare in pompa magna tra le braccia della donna amata. Ora, nonostante il picchiettio e le incursioni delle dita attorcigliate della sua speranzosa amante, si accorgeva che non c’era niente più da fare, aveva smesso di navigare saldo e audace.
Si diede tre schiaffi sulla faccia, evitò di guardare Carmela e si alzò dal letto. La stanza era piccola e conteneva tutto ciò che serve per vivere in un basso: un cucinino, una tavola e un gabinetto, il letto e la doccia incrostata di ruggine. L’unico pezzo d’arredamento che riconnetteva Pietro al mondo era un piccolo televisore. A passi lenti e strascicati vi si avviò vicino, si abbassò a fatica e staccò dalla corrente il lungo cavo che lo alimentava. Poi, cavo alla mano, si diresse di nuovo a letto, sedendosi accanto a Carmela che adesso, la bocca impiastricciata di rosso, lo fissava con un sorriso beffardo e pietoso insieme.
– Ti vuoi strangolare? – gli chiese, passandosi la mano incartapecorita fra i capelli a chiazze tinti di un rosso che andava scolorandosi.
– Ora ti insegno una cosa – gli disse Pietro, tutto ringalluzzito e giocando col cavo del televisore.
– Questo si chiama di galloccia, e ti serve sia a bordo che all’ormeggio – le mani del vecchio, tremanti e macilente, avvolsero il cavo su sé stesso, ma il risultato fu un groviglio confuso che ritornò all’ordine non appena Pietro, scontento del risultato, allentò la presa. – Mi serve l’appoggio – e si guardò intorno, alla ricerca di qualcosa che potesse sostituire la bitta che andava figurandosi nella testa. – Dammi il braccio – ordinò, nel momento stesso che afferrava l’avambraccio ruvido di Carmela. – Ecco, vedi, passo prima di sotto, poi giro di qua, così, lentamente, e paffete, eccomi di lato… non ti muovere, questo è il passaggio principale – guardò il lavoro svolto a metà con la punta della lingua in fuori e negli occhi acquosi un principio di brillio.
– Pietrì, ma che stai facendo? Mi vuoi intrappolare, né? – Carmela tentò di ritrarre il braccio indietro ma il suo amante, l’espressione ora concentrata e cauta, glielo fermò con forza, riprendendo la sua lezione: – Ed è qua che debbo fare l’incrocio, così. E non ti muovere, Santa Madonna! – e arrotolando il resto del cavo lo passò per un secondo giro all’altra estremità del braccio di lei. Carmela si guardò l’arto grasso avvolto fra le spire del cavo e si trovò ridicola e insensata.
– Mi sembro una pazza! – constatò, gli occhi fissi al cavo che stringendo forte le accentuava le piaghe sulla pelle.
– Questo lo usavo per fissare la Vita Bella al vecchio ormeggio, alla bitta che tu pennellasti di rosso, ti ricordi? – Pietro si rilasciò sulla spalliera del letto e con gli occhi parve inseguire una mosca nell’aria.
– Io la pennellai di rosso? Ti stai imbrogliando, chissà che zoccola era! – Carmela si liberò del cavo e lo gettò sull’addome nudo e smorto di Pietro.
– No, no, bella mia, eri proprio tu! La pennellasti di rosso e mi dicesti “Quando ti trovi là in mezzo, Pietrino mio, fra i pescecani e le tempeste, tu voltati indietro, e alla vista di questo rosso qua, ricordati di Melina tua, Melina che t’aspetta, Melina accesa d’amore”, così dicesti, e la mia Vita Bella, da quel giorno là, io l’ho sempre ormeggiata alla stessa bitta pittata di rosso.
Carmela, sbuffando e perdendosi nel riso a quelle languide rievocazioni, si tirò su e gettò le gambe pesanti oltre la sponda del letto. Si riavvolse i capelli nel fermaglio recuperato da qualche parte fra le lenzuola. Pietro le fissò la schiena grassa e grinzosa, chiazzata da uno stuolo di piccole e ruvide macchie marroni. La trovò bellissima e si odiò per non essere riuscito ad amarla nemmeno quel pomeriggio, in quell’ora da lei rubata al marito, Don Felice Marino, bisognoso d’assistenza e monco.
– Non te ne andare, Melì, che se resti io ti insegno quello barcaiolo – le propose Pietro, accarezzandole un fianco molle e il tono della voce reso lezioso dalla preghiera.
– Ma che vai dicendo, Pietrì? Che vuoi? Devo tornare su, ci sta quello che dev’essere lavato, e poi guarda, forse non è cosa più… – disse Carmela scoraggiata, riallacciandosi il camice fiorato che aveva slacciato poco prima sul davanti, fiduciosa com’era stata che stavolta ce l’avrebbero fatta, si sarebbero fusi insieme in quel dolce e remoto incantesimo che sempre le riportava al naso l’odore delle cozze, della banchina bagnata e della pelle antica di lui, salata dall’acqua e bruciata dal sole.
Pietro si alzò dal letto, massaggiandosi la schiena umiliata dallo sforzo e con il cavo alla mano, la testa incavata nelle spalle, raggiunse Carmela dall’altro lato, piazzandosi di fronte a lei e inginocchiandosi al suo cospetto.
– È troppo tardi oramai – concluse Carmela fra sé e sé, sulla bocca rossa un sorriso smaliziato e malinconico.
Pietro, inginocchiato ai suoi piedi, le accarezzò la grossa gamba destra, tumefatta e screziata da turgide vene varicose. Le diede un leggero schiaffo sulla caviglia: – Adesso è questa la bitta, ma quella più grande, quella dell’ormeggio nuovo dove ci succhiavamo gli sconcigli crudi. – E dicendo questo, le sollevò lento il piede e le avvolse il cavo intorno alla caviglia. – La cima va fissata bene, tenuta dritta, sennò la barca prende il largo. Mi segui, Melì?
Carmela fece segno di sì con la testa, distratta e annoiata, fissando lo sguardo alla porta sbarrata che dava nel vicolo. Pietro, invece, attento e abile, prendeva le misure intorno alla caviglia di lei. – A cima doppia, per fare un fatto più gagliardo. Passiamo ora sopra la parte di destra, ecco, così, e si fa lo stesso sulla parte di sinistra, ma adesso attenzione, mi raccomando, che viene il meglio… – e tirò troppo forte il cavo, facendo gracchiare Carmela che gli diede uno scappellotto fra i capelli bianchi. Lui si scusò, per niente offeso e anzi rinvigorito da quel moto di violenza che negli anni d’oro gli dava il pretesto per rubare baci arditi.
– La cima, sempre tenuta tesa eh, va infilata bella tosta qua nel buco, ecco, così, a regola d’arte, e poi, paffete – e di nuovo tirò troppo forte il cavo tanto che la caviglia di Carmela, presa nella trappola, si arrossò tutta d’un colpo.
Nella serratura si sentì il lavorio delle chiavi e dal vicolo deserto il riso familiare di un bambino. Pietro e la sua amante si fissarono negli occhi l’uno con l’altra e più per gioco che per la concreta paura d’essere sorpresi a letto insieme, discinti e ancora una volta colpevoli come in tutti quei lunghi anni di illegittimità, si misero velocemente all’opera per nascondere il peccato: Carmela, con ancora il cavo attaccato alla caviglia, si rifugiò nella doccia, tirando la tendina di incerata verde e Pietro si distese nel letto, fingendosi inebetito dall’improvvisa interruzione del suo sonno appena messo in scena.
– Papà, ti devi tenere Vito per un po’, Teresa è al salone e io devo correre al porto – a parlare era stato Bruno, appena entrato nel basso con al seguito una carrozzina piena del corpicino grasso e turbolento di un bambino.
– Oh, e che succede? – chiese Pietro, passando gli occhi dal figlio al nipote nella carrozzina. Vito, nelle mani un grappolo d’uva rossa, succhiava la frutta e rideva. Bruno, invece, nella sua divisa blu e arancio da ormeggiatore, era scuro in volto.
– Servono mani, mi hanno chiamato adesso e devo scappare. La nave coi migranti attracca stasera prima del previsto – disse veloce l’uomo, liberando il figlio dall’imbracatura nella carrozzina. Poi veloce istruì il padre su dove avrebbe potuto trovare l’occorrente utile al bambino, sull’ora della pappa e quella del rientro di Teresa. Rubò un chicco d’uva che si gettò nella bocca aperta, poi scattante si precipitò fuori dal basso. Pietro restò immobile a guardare oltre la porta, il tardo pomeriggio cominciava a stendere il suo manto nero lungo il marciapiede del vicolo. Gli occhi gli si offuscarono di una nebbia torbida e qualcosa lo trascinò via coi pensieri. A riportarlo alla realtà fu Carmela, che intenerita dalla presenza del piccolo Vito, umile chiese a Pietro di slegarle il cavo dalla gamba. E Pietro, silenzioso e svogliato, ancora per metà intrappolato in qualche oscura riflessione, si adoperò affinché il cavo si sciogliesse, mentre l’amante si consumava in strambe smorfie e teneri vezzi destinati al bambino.
– Quant’è bono, ‘sto diavoletto, e che coscette grasse che tiene, auhm – e la donna, gli occhi lucidi e la bocca aperta, addentò le cosce di Vito. – E guarda le manine, grasse grasse e rose, auhm – e macchiò di rossetto i ditini del piccolo. – Che pancia grossa che tieni, piena piena di bella uvetta, eh? – e smorfiosa si mise a leccare uno dei chicchi che il piccolo, divertito e rosso in faccia, le offrì per gioco.
Quando Pietro si rialzò, col cavo in mano e gli angoli della bocca in giù, guardò fisso Carmela che stringeva a sé il bambino, e poi lo riempiva di baci e carezze, e poi apriva e chiudeva gli occhi per farlo ridere, e ancora lo baciava sulla bocca lasciandogli macchie di rossetto sulle labbra. La donna continuò così per un po’, fino a quando, accortasi del buio che adesso inghiottiva interamente il vicolo, abbandonò il piccolo sul letto, si riassestò un’ultima volta i capelli e senza salutare il suo vecchio amante lasciò il basso, lenta e affaticata, appoggiandosi ansimante allo stipite della porta e scomparendo alla vista di Pietro. L’uomo, rimasto solo, fissò il nipote dritto negli occhi e nonostante il piccolo ridesse e gli allungasse le braccine, lui non si scompose e nemmeno rispose ai suoi sorrisi. Restò fermo, e si rigirò il cavo tra le mani, aggrottando la fronte come chi è sul punto di arrivare a una conclusione vantaggiosa e disonesta.
Trascinò una sedia a pochi metri dalla sponda del letto dove Vito sedeva a gambe aperte, poi gli si avvicinò , gli slacciò una scarpina e tenendo teso il cavo ne avvolse una estremità intorno al piedino nudo, fece prima un giro, teso, poi un altro ancora. Il piccolo guardava l’operazione divertito. Pietro, silenzioso e lo sguardo incupito, si discostò di poco e allentando il cavo ne avvicinò due parti insieme sotto le proprie mani, di modo da renderlo doppio e lo passò sull’estremità destra che pendeva dal piede. Quando il cavo calò dall’altra parte lo riacciuffò e lo fece passare sull’estremità sinistra, quindi lo infilò nell’anello formatosi al centro delle due estremità. Tirò forte e il nodo, stretto, scivolò veloce fino al piede del bambino, stringendolo in una morsa inestricabile. Vito, allegro e incuriosito dal gioco del nonno, si abbandonò in una sonora risata, ficcandosi in bocca l’ennesimo chicco d’uva.
Il vecchio si allontanò, tenendo stretta nelle mani l’altra estremità del cavo e sedutosi sulla sedia, con un po’ di difficoltà, ripeté l’azione appena compiuta su sé stesso, annodandosi il cavo a un polso in un nodo molto meno saldo e quasi abbozzato. Il piccolo, spensierato e allegro, con le gote rubiconde, continuò a succhiare vorace il grappolo d’uva, impiastricciandosi la faccia, già macchiata dal rossetto di Carmela, col succo che colava dai chicchi d’uva rossa. Per tutta quella lunga sera, il signor Pietro, conosciuto come Pietrino e un tempo infaticabile amante ed eroe a bordo della Vita Bella, se ne restò seduto, immobile e ormeggiato al nipote.